Creed, diretto da Ryan Coogler riporta Rocky sul ring o meglio a bordo di esso.
Creed, il primo spin-off della saga di Rocky Balboa è diretto da Ryan Coogler che ne ha curato insieme a Aaron Covington anche la sceneggiatura.
Sylvester Stallone c’è, è sempre lui il volto del leggendario pugile Rocky, ma questa volta non indossa i guantoni né prende posto dietro la macchina da presa come era accaduto nei precedenti sei capitoli (tranne che per Rocky e Rocky V diretti da John G. Avildsen).
Creed non vuole fin da subito distaccarsi dai film su Rocky, infatti quest’ultimi vengono citati in molte scene soprattutto in quelle dei vari allenamenti con i celeberrimi pugni al quarto di manzo o l’inseguimento alla gallina. Altro legame con la saga è sicuramente il tessuto narrativo: Rocky è ormai anziano e malato, ha chiuso col ring e si dedica al suo ristorante, Adriana e Paulie sono morti e a dargli una nuova ragione di vita arriva Adonis Johnson, figlio illegittimo del rivale e amico Apollo Creed, che pretende di essere allenato dal campione italoamericano.
La storia è il cliché solito di caduta e ascesa tramite lo sport, una rivincita personale a colpi di uppercut nei confronti della vita, dei propri demoni e dello sfidante di turno.
Adonis viene dipinto come uno sconfitto dalla vita, rinnegato dal padre e costretto a sopravvivere nei sobborghi di Los Angeles, la sua rivalsa inizia col trasferimento a Philadelphia e da qui cominciano a farsi importanti le distanze con l’epopea di Rocky: ci rendiamo conto che questo nuovo boxeur pur venendo dalla strada ha una vita da vincente, combatte quasi solamente per gloria personale e per poter portare con onore il cognome Creed.
La storia non entra mai con efficacia nei problemi della società americana: la disoccopuzione e il degrado della periferia stanno solo sullo sfondo e vengono, grottescamente, incarnati da un gruppo di giovani che fa impennate con la moto per le grigie strade di Philadelphia.
Coogler prova a raffigurare gli emarginati e gli ultimi, ma la sua mano è davvero troppo leggera e della pellicola rimane unicamente un pugile che combatte per se stesso senza neanche un vero nemico, a differenza dell’originale Rocky che vedeva la boxe come ultima ed unica possibilità di riscatto.
La trama di questo Creed è davvero troppo semplice e prevedibile, la regia è scolastica e banale, addirittura mancano i guizzi poetici (immediati e quasi scontati in realtà) di Avildsen prima e Stallone poi, che avevano trasformato l’alba di una umida e sporca periferia in uno scenario affascinante nella sua decadenza dal quale scappare con tutta la forza che si ha in corpo superando anche i limiti umani.
Da Creed non si deve scappare, il film, nonostante le immagini poco curate, si lascia vedere e non ha pesanti momenti morti, ma il mito di Rocky/Sly è riuscito a “spiezzarlo in due” e gli è bastata solo una ripresa, quella della scalinata della biblioteca.
[…] mentre si comincia a parlare della pellicola in questione. Se c’è una cosa che la saga di Creed ha infatti saputo fare con ottimi risultati, questa è proprio mantenere viva la parabola secolare […]