Il 20 dicembre 1990, Francis Ford Coppola ci donava il capitolo finale della saga di Michael Corleone

A tre decenni di distanza, il terzo capitolo della saga di Francis Ford Coppola continua a dividere, tra estimatori e chi invece lo giudica un mezzo passo falso del regista.
Ancora oggi Il Padrino Parte III è reputato il meno riuscito dei tre, per una sceneggiatura che parte della critica all’epoca definì priva di quella epica e complessità che ci si aspettava, forse anche per l’assenza di molti personaggi presenti negli altri due capitoli. L’aver scelto poi Sofia Coppola al posto di Winona Ryder per la parte di Mary Corleone, fu sicuramente uno dei miscasting più infelici che si ricordino.
Eppure, bisogna ammettere che Il Padrino Parte III, al netto di alcuni difetti, era sì inferiore ai primi due, ma non per questo privo di bellezza o contenuti. Anzi.

Ne Il Padrino del 1972, Coppola ci aveva mostrato l’ascesa di Michael, quasi casuale, imprevedibile, tra tradimenti, complotti, e colpi di scena.
Il secondo film, creò un parallelo con il percorso intrapreso in gioventù dal padre, gettò una luce rivelatrice sulla spietatezza, la crudeltà, il coraggio che servivano non solo per conquistare un regno, ma per difenderlo e ingrandirlo.
Ma con questo Il Padrino Parte III, Coppola ci parlò in modo assolutamente unico dell’onere della corona, del logorante peso di essere un leader, di quanto, alla fine, il potere non logori solo chi non ce l’ha.

Michael cercava di far uscire la sua famiglia dalla mafia, di rinnegare una vita fatta di sangue e delitti, ma allo stesso tempo non rinunciava a comandare, ad imporre la sua volontà sulle vite degli altri, ad essere un monarca autoritario e indocile.
Ma il suo voler voltare pagina senza essere perseguitato dal proprio passato, dai propri errori, si rivelava una speranza effimera. La sceneggiatura di Coppola e Mario Puzo, mischiò il reale con la fantasia, per quanto sovente il confine fosse davvero labile: la Loggia P2, il crack del Banco Ambrosiano, gli omicidi misteriosi o irrisolti dell’Italia eversiva, furono palesemente ripresi, connessi ad un iter narrativo in cui al tramonto di Michael, faceva da contraltare l’ascesa del nipote Vincent, figlio dell’irascibile Sonny.
In questo giovane boss, che aveva i lineamenti accattivanti di un giovane Andy Garica, Coppola innestò invece un’evoluzione complessa, guidata da Michael, una sorta di apprendistato, tramite il quale il vecchio capo cercava di redimere anche se stesso.

Il-Padrino-Parte-III-compie-30-anniLa Sicilia, New York, San Pietro, furono il teatro scelto per una congiura dove le banche, la politica italiana e i vertici del Vaticano, infine apparivano ben più marci della Cosa Nostra d’Oltreoceano, di quella Cosa Nostra da cui Michael infine capiva di non poter più uscire.
Il boss gelido, adamantino, armato di una mente meccanica implacabile, in questo terzo film man mano che si andava avanti, diventava sempre più un uomo afflitto non solo da un disfacimento fisico, ma da rimpianti, enormi sensi di colpa e dolore.
L’omicidio del fratello Fredo, la morte di Apollonia, il matrimonio fallito, la tragica fine di Sonny…i ricordi tormentavano un Michael la cui intelligenza era intatta, così come l’abilità di manovrare, ma che appariva spossato da una vita fatta di sangue, di famiglie distrutte.
 
Se per certi versi l’iter narrativo fu meno originale e dinamico rispetto agli altri due film, la verità contenuta ne Il Padrino Parte III sulla realtà della mafia, sulla cultura della morte che la caratterizza, venne invece resa in modo assolutamente perfetto.
Nel suo “Cose di Cosa Nostra”, Giovanni Falcone aveva raccolto molte confessioni di pentiti, in cui emergevano diversi tentativi di tenere lontano dalla Mafia i loro figli o nipoti, di convincerli a non entrare in un mondo fatto di oscurità e sofferenza. Micheal cerca inizialmente di fare lo stesso con Vincent, come per cambiare la sua stessa vita, un ritorno al tempo in cui aveva una famiglia ed era solo un giovane ex eroe di guerra.
Non esiste un lieto fine se entri nella Mafia, ci spiegò Coppola, che unì la tragedia greca al Re Lear di Shakespeare, distrusse poco a poco il suo protagonista, inseguito per quasi tre ore da una morte, che invece l’avrebbe colto vecchio, solo e abbandonato da tutti.

A conti fatti, Coppola trent’anni fa portò all’estremo la decostruzione del sogno americano connesso alla criminalità, che il cinema ha spesso reso patria di audacia, leadership, coraggio, facendo di mafiosi e gangsters simboli vincenti, del sogno americano della scalata sociale.
Non esisteva alcuna vittoria, il sogno da Piccolo Cesare del crimine affonda sempre nel sangue, nel tradimento, nella Cavalleria Rusticana e in quell’urlo muto finale di Michael, nella morte della figlia Mary, simbolo di un’innocenza e purezza, che lui tanto rimpiangeva.
Forse la scena più terribile e straziante di una saga che trent’anni fa, ebbe un finale ben più coerente ed elegante di quanto gli sia stato riconosciuto per molto tempo.