Quando pensiamo al film La Dolce Vita, capolavoro di Federico Fellini, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 1960, nonché uno dei capisaldi della storia del cinema italiana e mondiale, non può non venirci in mente l’ormai celeberrima scena in cui una disinibita e provocante Anita Eckberg chiama il ben più impacciato Marcello Mastroianni invitandolo a raggiungerla a fare un bagno proprio dentro la Fontana di Trevi.
Eppure, data la complessità e il forte simbolismo di cui tutta la pellicola è pregna, sarebbe riduttivo pensare a La Dolce Vita facendo riferimento esclusivamente alla suddetta scena.
Già, perché, di fatto, con questo suo importante lungometraggio, Federico Fellini ha realizzato principalmente un disincantato ritratto del jet set romano degli anni Sessanta, di un mondo in cui la noia viene riempita da chiassose feste piene di luci e sfarzo, di un mondo in cui gli esseri umani hanno ormai da tempo smesso di prestare attenzione l’uno all’altro, sentendosi, nel profondo, irrimediabilmente perduti.
Irrimediabilmente soli.

Tutto, dunque, ruota attorno alla figura del giornalista esperto di cronaca mondana (ma che sogna di diventare romanziere) Marcello Rubini (Mastroianni, appunto).
Durante le notti romane, egli, dapprima viaggiando in elicottero, mentre al contempo una statua di Gesù Cristo sta per essere trasportata in Vaticano, poi aggirandosi in macchina per i locali di via Veneto, così come per zone decisamente più “isolate”, vivrà in prima persona una serie di episodi spesso ai limiti del paradossale, imparando a osservare da vicino un mondo apparentemente gratificante, indubbiamente affascinante, ma anche, purtroppo, un mondo in cui una profonda solitudine fa da costante leit motiv.
Interessante notare, a tal proposito, come la superficialità di una realtà così bene raccontata per immagini vada di pari passo, in La Dolce Vita, con un profondo simbolismo e – nonostante il fatto che Fellini fosse dichiaratamente ateo – con una spiccata religiosità.

Lo dimostra non soltanto la scena iniziale del film, in cui, appunto, la statua di Cristo viene trasportata da un elicottero, suscitando la curiosità di alcune ragazze che al contempo stanno prendendo parte a una festa (scena, tra l’altro, che verrà citata persino in Good Bye, Lenin! di Wolfgang Becker), ma anche – e soprattutto – la leggendaria scena finale, in cui Marcello, in procinto di raggiungere alcuni suoi amici che alle prime luci dell’alba stanno passeggiando sulla spiaggia al termine di una lunga festa, viene chiamato da Paola (impersonata da Valeria Ciangottini), che gli chiede di raggiungerla e gli fa intendere che le è appena successo qualcosa di bello.
Proprio in questa scena, infatti, vediamo come i due – entrambi sulla spiaggia – siano separati da un piccolo torrente, come se, ormai, i loro due “mondi” non potessero più trovare un punto di incontro. Paola è quasi una figura angelica. Una costruzione in ferro alle sue spalle sembrerebbe quasi suggerire l’immagine di una croce.
Marcello, inevitabilmente rapito da tale visione, si inginocchia riverente, ma, scegliendo, alla fine di raggiungere i propri amici, finisce per perdersi per sempre.

Ed è proprio un profondo pessimismo, oltre a una sincera ma disincantata osservazione del genere umano, che fa di La Dolce Vita un film estremamente intelligente e mai banale o scontato.
Un film come fino a quel momento non se ne erano mai visti in Italia (e neanche nel resto del mondo). Un film grazie al quale venne addirittura coniato l’aggettivo felliniano. Un film che per determinate tematiche (la vita dissoluta negli ambienti alto-borghesi, ma anche lo scottante tema del suicidio, all’epoca ancora considerato tabù), ma anche per il ruolo centrale svolto dalla religione, ha suscitato a suo tempo non pochi scandali.
Basti pensare che, durante la prima italiana, a Fellini e a Mastroianni sono stati addirittura rivolti insulti pesanti (e sputi!) da parte del pubblico più conservatore.
Il tempo, tuttavia, ha finalmente reso giustizia a La Dolce Vita, a cui, nel corso degli anni, sono stati dedicati numerosi omaggi da parte di registi di tutto il mondo (e no, non solo da parte di Paolo Sorrentino con il suo patinatissimo La Grande Bellezza!).
Del resto, con questa sua importante opera, Fellini ha definitivamente preso una direzione del tutto differente da quella adottata nei suoi primi film, in cui una sorta di “realismo post neorealista” (perdonate il gioco di parole) faceva da protagonista assoluto.
Adesso era giunto il momento di conferire al cinema quel qualcosa in più che avrebbe lasciato definitivamente il segno. Un tocco estremamente simbolico e visionario, in cui musicisti e artisti circensi stavano così bene a rappresentare la vita ultraterrena, in cui un forte vento stava a trasmettere un’inquietante e desolante sensazione di morte, in cui, appunto, soltanto il ritorno a una consapevole religiosità (intesa nella sua accezione più ampia) potrebbe rappresentare una seppur debole possibilità di redenzione per i protagonisti.

La Dolce Vita è, dunque, una vera e propria esperienza visiva e uditiva. Una maratona per le strade di Roma in cui vediamo ciò che mai ci aspetteremmo di vedere (e pensare che al montaggio originale, grazie al quale il film doveva durare circa quattro ore, sono stati apportati importanti tagli che hanno ridotto il lungometraggio di circa un’ora).
Un film che meritatamente è passato alla storia e in cui ogni singola inquadratura sta a significare qualcosa di ben preciso, complesso e stratificato. Fellini non ha lasciato proprio nulla al caso e al fine di raggiungere i propri scopi si è inimicato anche importanti produttori (proverbiale la sua lite, durante le riprese, con Dino De Laurentiis, che per la realizzazione di La Dolce Vita aveva anticipato ben settanta milioni di lire).
E poi, naturalmente, c’è lui: il grande Marcello Mastroianni. Ai tempi delle riprese, Mastroianni era ancora semi sconosciuto e inizialmente proprio De Laurentiis aveva pensato ad attori del calibro di Paul Newman o Gérard Philipe, al fine di conferire maggiore spicco e internazionalità alla pellicola. Fellini, ancora una volta, si oppose.
Il tempo, ancora una volta, gli diede ragione. La Dolce Vita senza Marcello Mastroianni semplicemente non sarebbe La Dolce Vita. In seguito alla realizzazione della pellicola, tra l’attore e il regista nascerà un importante sodalizio artistico, a seguito del quale Mastroianni verrà considerato quasi una sorta di alter ego di Fellini. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.