Che cosa ha che fare il poeta latino Ovidio con il cinema? Ha molto a che fare, in maniera diretta e indiretta (ma chi o cosa non ha a che fare con il cinema?). L’autore del poema Le metamorfosi, del quale dal 6 aprile avranno inizio le celebrazioni (a Sulmona e a Roma) in occasione del bimillenario della morte, ha influenzato la storia del cinema in virtù del procedimento poetico a lui caro della trasformazione di una persona in un’altra persona o di una persona in un’albero e viceversa. Ovidio Ovidio Ovidio
Questa tecnica, da lui praticata negli esametri della sua opera mitologica più famosa, la ritroviamo utilizzata dal cinema in molti film del genere fantastico o horror fin dagli esordi della settima arte, a partire dalle truccherie fantasmagoriche di Méliès fino alle più recenti produzioni realizzate in digitale. Il primo poeta moderno che si mostrò entusiasta del cinematografo per la sua capacità di rappresentare il “meraviglioso” fu D’Annunzio il quale, in una intervista del febbraio 1914, disse: ”Le metamorfosi di Ovidio! Ecco un vero soggetto cinematografico, tecnicamente non v’è limite alla rappresentazione del prodigio e del sogno”. Parole profetiche se si tiene conto delle tante scene metamorfiche che il cinema ci avrebbe in seguito regalato (a partire dal filmato della trasformazione di un arto di Dafne in ramo di alloro girata dallo stesso D’Annunzio), scene rimaste impresse nella memoria di tutti come quella di Jeckill in Hide nella varie versioni della storia, o quella della donna in felino in La donna pantera, o quella del giovane turista in licantropo in Un lupo mannaro americano a Londra o, ancor meglio, quella del cattivo cyborg mercuriale che muta forma da solido a gelatinoso in Terminator 2. Ovidio
Ma il cinema non ha il suo protettore in Ovidio soltanto perché sa rappresentare le metamorfosi, lo ha perché è esso stesso un linguaggio metamorfico, un linguaggio che ha nel cambiamento di stato, di prospettiva e di ottica la sua intrinseca essenza. Il cinema trasfigura tutto ciò che tocca e con esso, come diceva Buster Keaton, tutto è possibile oltre ogni legge dello spazio e del tempo (vedere a riprova Sherlock junior). Ovidio
Di questa magia del cinema fu appassionato difensore negli anni Venti il cineasta “animista” Jean Epstein, convinto che “come la pietra filosofale, il cinematografo detiene il potere di compiere trasmutazioni universali” poiché esso “è essenzialmente soprannaturale e in esso tutto si trasforma secondo le quattro fotogenie”. Se, come dice Jung, il compito dell’arte è quello di “plasmare, trasformare, eterno svago dell’Eterna Mente”, allora nessun’arte meglio del cinema adempie a questa funzione. Dunque, il vero poeta del cinema è davvero Ovidio, come annunciò per primo l’immaginifico D’Annunzio, e di questo oggi tutti ci stiamo sempre di più convincendo (o almeno quelli che nel cinema cercano il non-banale e la poesia).