Lupita Nyong’o è l’attrice keniota-messicana dal grande talento che illumina il grande schermo con qualsiasi ruolo: dalla sua performance premiata con l’Oscar in 12 anni schiavo, al personaggio di Maz Kanata della saga di Star Wars dove la CGI non sovrasta le movenze e la voce dell’attrice, passando perfino per Broadway con il dramma Eclipsed fino ad arrivare al thriller psicologico Noi, Lupita Nyong’o dimostra di essere una forza irrefrenabile nell’industria cinematografica.
12 anni schiavo: il debutto cinematografico di Lupita Nyong’o
L’esordio cinematografico di Lupita Nyong’o in 12 anni Schiavo è uno tra i più straordinari della storia del cinema e che le fa ottenere l’Oscar come Miglior Attrice non Protagonista nel 2013.
Quest’opera cinematografica diretta da Steve McQueen, affronta in modo audace e brutalmente onesto il tema della schiavitù, distinguendosi da altri film sul tema per la sua potenza e autenticità.
Ambientato nel 1841, la trama parla di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) un violinista afroamericano che vive a New York con la sua famiglia, un giorno riceve un’offerta da parte di due artisti viaggiatori per esibirsi a Washington DC. Ma poco dopo il suo arrivo lì, viene rapito e venduto come schiavo a William Ford (Benedict Cumberbatch) e Edwin Epps (Michael Fassbender), due schiavisti che sembrano abbastanza in contrasto tra loro, il primo più benevolo e il secondo più spietato.
Oltre a Solomon stesso, il film segue la storia Patsey, indimenticabilmente interpretata da Lupita Nyong’o, una schiava vulnerabile ma indomita, cui dolore rinfaccia brutalmente la storia delle donne nere.
12 anni schiavo è un film da vedere non solo per la magnifica performance di Lupita Nyong’o, cui visione non è sempre facile, ma anche perché cattura perfettamente la dissonanza cognitiva che era pervasiva a tutti i livelli nella società americana e l’ostinata ignoranza necessaria per sostenere l’odiosa istituzione della schiavitù. Chi riusciva a liberarsi, non è mai veramente libero ma acquista solo protezione, lasciando indietro gli altri più per pragmatismo che per menefreghismo, come nel caso della schiava Shaw (Alfre Ette Woodard).
Il film è a tratti claustrofobico come un film d’orrore per via tutte le inquadrature lunghe di schiavi legati con catene e museruole disumane di metallo intorno alla bocca, la schiena e i volti spessi e coriacei con cicatrici indotte dalla frusta, nuovi lividi sopra quelli vecchi, per non parlare degli sguardi vuoti di quelle persone che sembrano più animali degli animali. E la dissonanza citata precedentemente fuoriesce tramite il contrasto dei paesaggi meravigliosi della Lousiana.
Noi: il film che esplora la dualità di Nyong’o
Noi è un film horror del 2019 scritto e diretto da Jordan Peele, con protagonista Lupita Nyong’o. La trama segue Adelaide Wilson, che insieme al marito, il figlio e la figlia, torna nella casa sulla spiaggia dove è cresciuta da bambina. Tormentata da un’esperienza traumatica del passato, Adelaide è preoccupata che possa succedere qualcosa di brutto e le sue peggiori paure diventano realtà quando quattro sconosciuti mascherati irrompono nella casa, costringendo i Wilson a una lotta per la sopravvivenza. Quando le maschere si tolgono, la famiglia rimane inorridita nell’apprendere che ogni aggressore assume le sembianze di uno di loro.
Noi è un film fantastico, ma è anche un film difficile. Un horror ben fatto che non ha nulla da invidiare al precedente di Jordan Peele, ovvero Get Out: temi di religione, razza, dualità, libero arbitrio fuoriescono attraverso labirinti sotterranei, esperimenti di clonazione e beni materiali.
Noi parla del fallimento del sogno americano: tutti i personaggi sembrano andare alla grande, ma sono tutti ossessionati dall’idea di avere di più. Per Jordan Peele, il materialismo e il consumismo tipici della vita americana ci ucciderà tutti e lo sta già facendo, Noi ne esplicita solo il modo. Non è un caso che le morti avvengono quasi mai per vere e proprie armi.
L’implicazione è che c’è una sorta di violenza implicita nell’essere possessore di molte cose, non è etico ottenere più degli altri, per scelte proprie o per via di vantaggi sociali. In una certa misura, questo film riconosce che non esiste una soluzione semplice alla disuguaglianza perché il torto è troppo grande e sistemico, e se arriverà la resa dei conti, sarà altrettanto violenta e dolorosa.
Lupita Nyong’o è una Adelaide intensa, multisfaccettata e binaria che, senza dare troppi spoiler, illustra come la società sia così superficiale da non accorgersi di nulla, che ogni giorno siamo tutti intenti a proseguire le nostre vite mettendo su una facciata e invidiando più o meno segretamente la vita di un altro.
Black Panther, una saga da vedere con Lupita Nyong’o
Tra i tre film scelti per conoscere Lupita Nyong’o, non si può citare la saga di Black Panther, facendo una piccola eccezione sul numero.
Nel 2018 l’attrice sbarca nell’universo Marvel con il ruolo di Nakia nel film Black Panther, nel quale recita accanto a Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Danai Gurira, Martin Freeman, Daniel Kaluuya, Angela Bassett e Forest Whitaker. Nel 2022 torna a vestire i panni di Nakia in Black Panther: Wakanda Forever.
Nakia è un membro delle Dora Milaje, una guardia del corpo del protagonista T’Challa e suo interesse amoroso del passato, il cui compito è viaggiare per il mondo e riportare quello che accade, mentre nel sequel è intenta a salvare Shuru e la scienziata Riri nell’ennesimo scontro che ha alla base il vibranio, il metallo indistruttibile che è la forza del regno di Wakanda.
Sicuramente dei film più digeribili rispetto a Noi e 12 anni schiavo, ma non per questo non sono dei bei prodotti. Il talento di Lupita Nyong’o, sebbene la storia non sia tutta incentrata sul suo personaggio, va a costruire un’eroina che lotta contro ogni tipo di violenza e che al tempo stesso vuole proteggere la sua terra e la sua cultura.
I film, diretti da Ryan Coogler, hanno molto da dire sul dolore e sui rimorsi e, data la scomparsa dell’attore Chadwick Boseman, il sequel sembra anche catartico, oltre che un omaggio.
Non sono film perfetti, poiché spesso c’è la sensazione che la trama debba per forza spingersi in avanti, ma è affascinante come venga raccontato l’afrofuturismo, rivisitando il modo del modo in cui l’Occidente e Hollywood sono abituati a vedere i paesi africani. L’immaginaria nazione africana di Wakanda è l’ambiente perfetto per rappresentare sullo schermo le storie di donne nere che non siano schiave, ma scienziate, guerriere, regine. Belle, orgogliose, ma soprattutto brave, capaci. Il tutto senza sembrare dei robot, anzi utilizzando il trauma e il dolore come mezzo di crescita.