Marlon Brando è un’icona, nel bene e nel male. Forse nessun altro attore ha avuto un tale impatto: con due Oscar vinti, è stato il primo a introdurre un approccio naturale alla recitazione a Hollywood, basandosi sull’immaginazione del personaggio piuttosto che sulla mera memorizzazione delle battute.
Tuttavia, questo non sarà un elogio delle sue migliori performance, ma un excursus su alcuni dei suoi “flop”, perché le capacità di un attore si vedono anche tra le crepe: Marlon Brando non leggeva mai gli script (perché per lui sarebbe stato innaturale recitare a memoria), faceva richieste strane e complicate, si scontrava con il cast e la troupe, faceva indossare alle co-stars dei cartelli con le battute ed era il fautore di numerosi scherzi.
Per lui recitare era un gioco, che gli procurava dei soldi, ma pur sempre un bambinesco modo di sbarcare il lunario. E, onestamente, perché biasimarlo? A 100 anni dalla sua nascita, lo vogliamo celebrare (anche) in questo modo.
La contessa di Hong Kong (1967): la stella Marlon Brando collide con la stella Sophia Loren
Tra i flop più importanti è doveroso citare La contessa di Hong Kong. Questo film è stato un momento triste per Marlon Brando e per Sophia Loren e infine per il regista Charles Chaplin, che si è ritirato dal cinema appena dopo.
Nel film Marlon Brando interpreta Ogden Mears, un ambasciatore statunitense in Arabia Saudita che sta tornando negli Stati Uniti dopo un viaggio all’estero. Durante la sua tappa a Hong Kong, incontra una contessa russa di nome Natasha (Sophia Loren), i cui genitori sono deceduti dopo essere stati esiliati durante la rivoluzione russa. Natasha si rifugia nella capanna di Ogden per sfuggire alla sua vita difficile ed è costretta a nascondersi per il resto del viaggio. Sorprendentemente, tra di loro sboccia una storia romantica.
All’epoca, il famoso critico Bosley Crowther del New York Times, ha commentato il film così:
Se un vecchio ammiratore dei film di Chaplin potesse essere indulgente, chiuderebbe rapidamente il sipario su questa vergogna e fingerebbe che non sia mai esistita.
Infatti, le riprese del film sono statiche, gli sfondi sono disadorni e non ha aiutato il fatto che Chaplin stava lavorando per la prima volta a colori, ottenendo come risultato una sovrailluminazione che si è rivelata più adatta ad una sitcom di fine anni ‘60 che ad un film.
La pellicola puó essere considerata una commedia romantica, ma di una coppia che il romanticismo lo ha perso. Trama vaga, personaggi poco sviluppati e tutti gli elementi tipici di una farsa di vecchio stampo: i racconti di quei tempi ci dicono che Brando era in costante conflitto con Chaplin mentre Sophia Loren non era felice con il suo co-protagonista, la cui volgarità la offendevano.
Quest’attrito è palpabile mentre si guarda il film: gli sguardi delle due co-star sono vacui, inespressivi e non c’è chimica. Viene tutto esplicitato e non ci sono dei dialoghi che lascino trapelare le intenzioni dei personaggi. È solo una “commedia” senza risate e una storia d’amore senza passione, e lo stile demenziale a cui Chaplin mirava, semplicemente, non è riuscito.
La notte del giorno dopo (1968): il film delle esagerazioni inutili
La notte del giorno dopo fu un flop commerciale: diretto da Hubert Cornfield nel 1968 con protagonista Marlon Brando, si basa sul romanzo di Lionel White. Questo è uno dei film più bizzarri di Marlon Brando della sua fase europea, che stranamente anticipa una performance di punta della sua carriera con Queimada.
La storia parla di tre uomini e una donna che rapiscono una giovane ragazza a Parigi e chiedono il riscatto al padre americano: ma non mancano degli “antics” interni, come l’autista della banda stufo della fidanzata che si droga. E non manca l’individuo anziano interessato alle grazie della rapita.
Brando è Bud, tra questa banda di strani rapitori a cui va tutto storto e non ci vuole molto prima che la situazione degeneri.
La notte del giorno dopo è uno di quei film polizieschi dove i problemi e la posta in gioco si ingigantiscono esponenzialmente, sfiorando il ridicolo: istruzioni enigmatiche, aerei che vengono dirottati, denaro scambiato nelle banche e torri radio che vengono fatte saltare in aria per distrarre la polizia.
Un piccolo melodramma di rapimento noioso, artificioso e inutile
fu il marchio del NY Times, critica comprensibile tutt’ora: la maggior parte delle volte, il quartetto criminale siede attorno a una casa in riva all’oceano fissandosi a vicenda e i dialoghi sono pochi. Se non fosse per gli espedienti narrativi, il film risulterebbe piatto.
L’isola perduta (1996): i capricci di Marlon Brando
Questo si piazza tra i prodotti cinematografici più difficili nella storia della produzione cinematografica: L’isola perduta è una pellicola del 1996 diretto da John Frankenheimer, interpretato da Marlon Brando, David Thewlis e Val Kilmer. Basato sul romanzo del 1886 di H.G. Wells su un scienziato squilibrato che crea una società di ibridi umano-animali attraverso esperimenti malati e vivisezione, ci si aspettava che il film esplorasse l’identità umana e il rapporto dell’uomo con la natura.
La storia segue l’agente delle Nazioni Unite Edward Douglas (David Thewlis), che rimane bloccato sull’isola dopo un incidente aereo nel mare di Giava. Qui trova l’aiuto di Montgomery (Val Kilmer), l’assistente del dottor Moreau (Marlon Brando). L’agente incontra la figlia del dottore Aissa (Fairuza Balk) e ne rimane comprensibilmente sconvolto: infatti Aissa è un ibrido gatto-umano, uno dei tanti esperimenti riusciti del dottor Moreau, fissato con l’idea di creare creature metà umane e metà animali.
La pellicola vede un’interpretazione di Marlon Brando minata dalle sue richieste folli che sono arrivate alla versione finale, come indossare un secchio del ghiaccio sulla testa. Questa volta ha recitato con l’ausilio non di cartoncini, ma direttamente di suggerimenti tramite auricolare cui, storia dice, carpisse spesso le frequenze della polizia. Per non parlare degli intramontabili capricci per i quali non lasciava il suo truck personale se non per il cibo.
La leggenda che si porta dietro la costruzione de L’isola perduta rende la pellicola quasi degna di essere camp: tra l’assurdità di alcune scene come quella del morso della tarantola e la gestualità del dottor Moreau simile a quella di Mago Otelma, e l’uso decorativo dell’uomo piú piccolo del mondo, c’è molto da ridere. Il problema è che non era questo l’effetto voluto.
Il film è considerato uno dei peggiori di Brando: a questo punto della sua carriera, l’attore aveva collezionato per un decennio tanti auto sabotaggi in ogni film in cui si trovava. Eppure, veniva pagato ancora qualunque cifra lui chiedesse e tutti volevano lavorare con lui.