«È quello che fa confusione. Non è un bel ragazzo?»

Così Blanche DuBois (Vivien Leigh) additava suo marito (Marlon Brando) in Un tram che si chiama Desiderio di Elia Kazan, profetizzando, quasi al suo esordio cinematografico, le complementari pulsioni di eros e thanatos di cui tante leggendarie interpretazioni dell’attore sono impregnate.

Marlon Brando è il mito di un (anti)divo capriccioso, ma capace di un apporto tanto viscerale da divenire in un certo qual modo co-autore del film, e il titanismo di un enfant prodige destinato a rimodellare a propria immagine e somiglianza le coordinate recitative filmiche (il cui unico parallelo cinematografico è rappresentato registicamente dall’ingombrante figura di Orson Welles) sono state forgiate proprio da quel costitutivo lavoro con Kazan.
Proprio con quest’ultimo, attraverso il Metodo, hanno dato vita almeno a due pilastri della cinematografia hollywoodiana classica (oltre al già citato, primo lavoro con Vivien Leigh, anche Fronte del porto e Viva Zapata!).

Uomini di teatro poi dedicatisi alla settima arte, nel 1947 Marlon Brando e Elia Kazan iniziano una fortunata collaborazione proprio sul palcoscenico di Broadway con il dramma di Tennessee Williams Un tram che si chiama Desiderio, dopo soli quattro anni trasposto anche sul grande schermo dal duo. Il regista, tra i fautori di un rinnovamento ideologico e narrativo della forme hollywoodiane classiche, cercando di ricreare la viscerale potenza drammaturgica sul grande schermo, non poteva che trovare nel talento innato di Brando il materiale perfetto da plasmare.

La sistematizzazione di un tale programma artistico è stata, dunque, la fondazione sempre nel 1947 da parte di Kazan con Cheryl Crowford e Lee Strasberg dell’Actors Studio, tuttora la più importante scuola di arte drammatica degli Stati Uniti che, principalmente grazie ai contributi teorici di Strasberg, ha adottato (revisionandoli) i precetti sul naturalismo e realismo psicologico formulati in ambito teatrale da Stanislavskij. Recuperando i concetti di “memoria emotiva” e “reviviscenza”, ma non professando più un’identificazione totale con il personaggio quanto piuttosto perseguendo la costruzione di un proprio modello psicologico dello stesso, l’Actors Studio trasforma la lezione del russo nel Metodo, l’oramai leggendario insieme di regole, training e di scavo nella propria intimità tra i cui risultati si annoverano tra le migliori performance di tutta la storia del cinema (e anche qualche immedesimazione arrivata fino al parossismo).

Qui, nonostante dicesse spavaldamente di frequentare le lezioni solo «per le belle ragazze», Brando ha imparato proprio da Kazan – mettendolo ben presto in pratica – quel rapporto stanislavskiano del pedagogo-regista che guida un apprendista-attore nella costruzione di una psicologia del personaggio grazie alla quale l’interprete, solo facendola propria in un secondo momento, diventerà co-creatore dell’opera. I film di Kazan, attraverso Brando, sono tra le prime e più pure vivificazioni di tale prospettiva, riuscendo a consacrarne fin da subito (primo Oscar già nel 1955 per Fronte del porto) l’inscalfibile mito delle future generazioni di attori che, sulle sue orme, adotteranno il Metodo: dalla venerazione di James Dean, passando per i colleghi Paul Newman e Marilyn Monroe, fino ad arrivare a epigoni quali Robert De Niro, Meryl Streep, Al Pacino e Christian Bale.

Dunque, nei melò di Elia Kazan, tra il dramma sociale (in Viva Zapata! anche storico) e il thriller, le tematiche politiche si riverberano inevitabilmente tutte nell’interiorità psicologica dei personaggi e negli spazi (quasi comprimari se si considera la claustrofobia con cui, ad esempio, inquadra teatralmente la casa di Un tram che si chiama Desiderio) che abitano. Emiliano Zapata, ma soprattutto Stanley Kowalski e Terry Malloy, i protagonisti che il regista affida a Marlon Brando, grazie alla monumentale recitazione di quest’ultimo anticipano un nuovo tipo di mascolinità, dal sapore crepuscolare, che si ammanta di una bellezza sensuale, di una sofferta tenerezza, ma anche di una caotica ferocia (ed ecco il ritorno a eros e thanatos).

I suoi personaggi, sempre affascinanti, ammalianti e feticizzati (fin dall’allora dissacrante t-shirt bianca aderente sul corpo sudato), portano in seno la rivoluzione del Metodo fatta di una recitazione capace di spaziare in tutta la gamma delle emozioni umane mediante non solo la magniloquenza dei grandi monologhi, ma anche attraverso costanti e microscopici, quasi minimalisti, atti performativi. Così Brando, centrifugando la scena verso sé stesso, riesce a rallentare e rarefare il ritmo in iati dalla profondissima suggestione malinconica per poi, però, esplodere in afflati drammaturgicamente intensissimi. Sono questi sbalzi a rendere incredibile il lavoro creativo dell’attore e di Kazan, il quale ammette anche che il meraviglioso confronto nel taxi tra il protagonista e suo fratello in Fronte del porto (citato per altro da Scorsese e De Niro in Toro scatenato) non è stata opera sua, quanto dei due attori (e di qui la co-autorialità di Brando nei suoi film).

Ma non si può non citare il lavoro che l’attore fa con il proprio corpo, un corpo semantico, sprezzante, energico, dotato di un sex appeal innato. D’altronde Brando è stato forse il primo attore di sesso maschile (è d’obbligo la sottolineatura) così prepotentemente sensualizzato e sessualizzato, fonte di desiderio feticistico. In Un tram che si chiama Desiderio, infatti, le sue pose, serpentine come le statue estratte dal marmo di Michelangelo, esibiscono tutta la crudele promiscuità, ma anche la magnetica attrazione di Stanley Kowalski.

Nonostante revisionismi e damnatio memoriae intentate in epoca di movimento #Me too e di cancel culture, la gigantesca (e certamente controversa) figura attoriale di Marlon Brando non è elidibile dalla storia del cinema mondiale, se non altro per il netto cambio di segno che ha comportato nell’arte recitativa. Primigenio frutto di quel coacervo di sperimentazioni performative che è stato l’Actors Studio, e in particolar modo di Elia Kazan, rimarrà probabilmente per sempre il modello a cui ancora tante generazioni di attori si ispireranno.