Lo sguardo freddo, ma incredibilmente intenso, i lineamenti duri, ma eleganti e l’incredibile capacità di far sposare tensione e morbidezza. Mads Mikkelsen è ormai da anni uno dei volti più riconoscibili e amati del cinema, sia dal grande pubblico che dalla critica.

Di questo attore danese si apprezzano carisma ed espressività, ma anche il coraggio per l’essersi sempre messo in gioco con progetti molto eterogenei: da veri film d’autore ha saputo anche concedersi qualche digressione con il cinema più mainstream. In ogni interpretazione Mikkelsen porta il proprio stile, la propria maniera di recitare che fa della sottrazione il suo punto di forza per rendere al meglio un’umanità fragile e incerta, ma purante istintiva e violenta.
Per onorare Mads, ecco quindi i cinque personaggi più iconici della sua fantastica carriera di outisider di successo.

One – Eye in Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn

Secondo molti, il film più genuino e riuscito di Refn.
Sanguinosa, cupa e criptica avventura nella Highlands scozzesi dell’anno 1000, Valhalla Rising vede Mikkelsen nei panni di One-Eye, un guerriero muto senza un occhio, tenuto schiavo da alcuni terribili vichinghi che lo costringono a terrificanti combattimenti all’ultimo sangue contro altri sventurati come lui.
Liberatosi, dopo essersi vendicato sui suoi aguzzini, prende con sé un giovanissimo ragazzo che oltre a fargli da guida, diventerà quasi un richiamo alla sua coscienza, mentre si unisce ad un gruppo di uomini del nord, decisi a raggiungere i crociati in marcia verso Gerusalemme via mare.Saranno invece le Americhe la loro destinazione, dove One-Eye andrà incontro al suo destino, tra mito e redenzione.

Film terrificante nella sua dimensione violenta e sanguinaria, quello di Refn è un omaggio alla mitica figura di Odino ed ai suoi significati legati al concetto di morte e rinascita, di natura e umanità.
Mikkelsen ci regalò qui uno dei guerrieri più sinistri, spietati e terribili che si siano mai visti in un film. Il suo One-Eye è muto, tutta la recitazione verte quindi sulla sua straordinaria espressività, sulla sua capacità di far percepire la natura ferale (ma non folle) di un uomo che conosce la morte come nessun altro, dalla natura imprevedibile, ma non crudele o predatoria.
Forse la sua più difficile interpretazione, ma anche il suo personaggio più affascinante, capace di trascendere la mera dimensione diegetica, di abbracciare un simbolismo legato non tanto alla verità storica, ma a quella mitica, religiosa di un’umanità ormai perduta.

Lucas ne Il Sospetto di Thomas Vinterberg

Persino gli amanti de La Grande Bellezza ammetteranno che casomai l’Oscar come Miglior Film Straniero fosse andato a Il Sospetto di Thomas Vinterberg, non ci sarebbe stato nulla da dire.
Ambientato in una Danimarca tenebrosa e grigia, ha come protagonista Mikkelsen, nei panni dell’insegnante d’asilo Lucas. Lì viene improvvisamente accusato dalla figlia del suo miglior amico di averla molestata sessualmente. Pian piano per Lucas comincerà un infernale percorso fatto di sofferenza, aggressioni e solitudine, dove quelli che erano vicini o amici, si trasformeranno in aguzzini spietati. Solo dopo molto tempo riavrà indietro la sua rispettabilità…ma il sospetto rimarrà sempre sulla sua testa.

Mads Mikkelsen qui ha probabilmente toccato il vertice della sua abilità di interprete.
Il suo Lucas, al contrario di altri suoi personaggi, non è né un villain algido, né un carismatico antieroe, ma solo un uomo comune, fragile, separato e ferito dal proprio fallimento come marito.
Mikkelsen fu semplicemente eccezionale nel mostrare la sofferenza ma allo stesso tempo la dignità di un uomo, che si ritrovava in pochi istanti intrappolato in un inferno da cui non sapeva come difendersi, da quel “Sospetto” appunto, che nel mondo moderno basta e avanza per mettere un cappio attorno al collo.
Il suo Lucas appare come un monumento alla sofferenza umana e alla rabbia che ne consegue, palesata in quella scena durante l’ipocrita inno religioso, che di sicuro ebbe un suo peso nel fargli assegnare la Palma d’Oro come Miglior Interprete a Cannes.

Hannibal Lecter nella serie tv Hannibal

Chi potrebbe raccogliere il guanto di sfida depositato a suo tempo da Anthony Hopkins, e calarsi nei panni del serial killer più famoso del cinema e uscirne indenne? Mads Mikkelsen.
La serie tv Hannibal, ci ha donato un Lecter incredibilmente più complesso e pericoloso di quello ormai mito cinematografico. Mikkelsen non poteva competere con il caldo, suadente e metamorfico charme dell’attore di Hopkins. Ha fatto la sola cosa possibile: ha creato il suo Lecter, ha preso dal personaggio immaginato da Harris alcuni elementi e li ha enfatizzati, su tutti la sua maniacale ricerca della perfezione, ma anche la sua grande sapienza gastronomica.

Mad Mikkelsen / Lecter è gelidamente elegante ma non per questo non espressivo o non capace di incantare con la sua eloquenza. Semplicemente appare un essere controllatissimo, un serpente che studia sempre come comportarsi e come muoversi, tanto abile in cucina con la carne umana, così come nel battersi o nell’uccidere.
Da certi punti di vista, l’alter ego demoniaco e sadico di un James Bond, capace di giocare con la mente degli altri in modo tanto scaltro quanto invisibile.
Senza ombra di dubbio uno dei villain più affascinanti mai visti sul piccolo schermo.

Martin in Un altro giro di Thomas Vinteberg

Tra le tante polemiche suscitate dai recenti Oscar, il premio a Un Altro Giro ha invece trovato tutti perfettamente d’accordo. Il film di Thomas Vinteberg è una grandissima opera, una metafora straordinaria della crisi morale su cui dibatte la società danese, così apparentemente perfetta, così invece connessa a problematiche quali la solitudine, la depressione, l’alcolismo.

Mikkelsen qui si è staccato completamente da quella cinematografia, che lo aveva spesso visto nei panni di uomini freddi, forti e sicuri. Il suo Martin è invece un uomo debole, di mezza età, a cui pare di aver sprecato la propria vita, si sente senza futuro, senza gioia e senza prospettive. L’alcool per lui diventa un fedele compagno con cui non pensare, o meglio pensare in modo diverso, muoversi in modo diverso, un elisir con cui tornare giovani e liberi e felici.

Sublimato da una danza finale in cui Mikkelsen ha “rispolverato” gli anni in cui era ginnasta e ballerino, Un Altro Giro è senza dubbio un film in cui ha saputo mostrare anche la parte più “calda” della sua recitazione, andare sopra le righe, mostrarci una parte del suo essere attore che fino ad oggi non conoscevamo.

In bilico tra allegria e dramma, il percorso del suo Martin appare come una faticosa via oscura verso una liberazione dell’anima, la conquista di una verità tanto ovvia come ostica: la felicità dipende da noi, non dal mondo esterno. L’alcool non è amico né nemico, lo è l’uso di cui ne facciamo, così come ogni altra componente della vita e della società. Essere felici è uno scopo che va cercato con leggerezza.

Jon in The Salvation di Kristian Levring

Tra i tanti esempi dell’eccellenza che ha raggiunto il cinema danese, vi è sicuramente anche The Salvation di Kristian Levring, ambientato nella seconda metà del XIX secolo, poco dopo la Guerra tedesco-danese, in cui Mikkelsen interpreta Jon, che con la famiglia si è recato negli Stati Uniti in cerca di una nuova vita.

A causa dell’attacco da parte di alcuni fuorilegge, Jon si troverà senza più la famiglia ad accezione del fratello, e messosi su un personale sentiero di vendetta, si troverà in breve intrappolato dentro un mondo fatto di violenza, ingiustizia e prevaricazione.
Western sontuoso nella componente tecnica e in un cast che annovera nomi del calibro di Eva Green, Jeffrey Dean Morgan, Jonathan Price e l’ex asso dello United Eric Cantona, The Salvation è affine ad una certa chiave interpretativa di un’epoca e di un territorio, che viene privato dell’aurea mitica della Hollywood di Ford e Houston.

Mikkelsen qui si è esibito in una robusta interpretazione, che sicuramente possiamo connettere a quelle che ci furono date da tanti divi del passato in diversi revange westerns diventati mito.
Qui il suo Jon non appare mai con un eroe, quanto piuttosto come un sopravvissuto, una vittima, un’anima straziata e sconquassata. Tuttavia, messo alle strette, si rivela un nemico implacabile, in grado di usare la sua esperienza di veterano in una delle guerre più dimenticate d’Europa, con micidiale perizia.