È il 20 maggio 1988 e nelle sale esce Willow, il film fantasy di Ron Howard e George Lucas: il primo ha dietro le spalle il cult Cocoon e il secondo, inutile dirlo, il colosso Star Wars.
Willow, dunque, viene pubblicato con le migliori premesse che, ancora dopo tutti questi anni, mantengono vivo l’interesse per questo sword and sorcery che riporta lo spettatore ad una dimensione fanciullesca, senza far caso all’età.
Ma perché il film ha ancora un forte appeal?
Semplicemente perché le storie di riscatto, di amicizia e di amore sono universali, soprattutto se certi atti di coraggio provengono da coloro considerati poco avvezzi al compiere gesti eroici o all’essere portatori di particolari talenti.
E quindi, non importa se non si riescono a pronunciare quei nomi dalle assonanze filo germaniche tipici del mondo fantasy (e che spesso allontanano lo spettatore non abituato), Willow ti fa ammirare il fantastico con facilità.
Willow, la trama del film di Howard e Lucas
La storia parte in un regno governato dalla spietata strega-regina Bavmorda (Jean Marsh), preoccupata per una profezia predice la sua sconfitta per mano di una neonata. Per evitare che ciò accada, Bavmorda imprigiona tutte le donne incinte nel suo regno. La neonata Elora Danan, viene salvata dalla sua nutrice Ethna (Zulema Dene), che poi muore attaccata dalle bestie di Bavmorda non prima di aver messo in salvo la piccola. Sulle tracce di Elora ora c’è l’esercito della regina e Sorsha (Joanne Whalley), figlia della regina.
Elora viene trovata sulla riva di un lago in un villaggio di Nelwyn, dai figli di Willow Ufgood (Warwick Davis): la famiglia si innamora della neonata e l’adotta, ma le cose si complicano quando le bestie di Bavmorda attaccano il villaggio.
Willow, dunque, decide di restituire la bambina a una famiglia simile alla sua, ma lungo il cammino incontra il mercenario Madmartigan (Val Kilmer), che si offre di prendersi cura della bambina in cambio della sua libertà. Dopo una serie di eventi, Willow accetta la proposta di Madmartigan e insieme cercano di proteggere Elora Danan.
Durante il loro viaggio, Willow incontra la fata Cherlindrea (Maria Holvoe) che svela l’importanza della bambina e fornisce a Willow una bacchetta magica. Con l’aiuto dei due simpatici elfi Rool (Kevin Pollak) e Franjean (Rick Overton), Willow prosegue il suo viaggio per trovare Fin Raziel (Patricia Hayes) un’anziana strega esiliata da Bavmorda. Lungo la strada, si rincontrano con Madmartigan, che si unisce a loro. Tuttavia, vengono catturati da Sorsha e portati da Bavmorda.
Willow cerca di salvare la bambina e riceve aiuto da altri personaggi che all’inizio sembravano non volerli aiutare affatto, come Airk Thaughbaer (Gavan John O’Herlihy), il comandante dei Cavalieri di Galladoorn, che perderà la vita proprio contro l’esercito di Bavmorda.
Con coraggio, collaborazione di amici e fiducia in se stesso, Willow riesce a vincere contro la malvagia strega, rendendola vittima del suo stesso rito che stava preparando contro la piccola Elora.
Willow, cosí, riceve un libro di incantesimi da Fin Raziel e torna al suo villaggio come un eroe. Madmartigan e Sorsha adottano Elora Danan e diventano i nuovi sovrani di Tir Asleen.
Perché guardare il film fantasy di Howard e Lucas
Willow è tuttora un film assolutamente gradevole, visivamente ancora oggi appagante, forse soprattutto perché, con la tecnologia odierna, sembra artigianale nei suoi effetti speciali o nelle transizioni da una scena all’altra. Tutto ciò, invece di sembrare un difetto, rende il film genuino, godibile perché basato soprattutto sulla storia, sui personaggi e sui dialoghi, cosa che non si può più dire per tanti prodotti blasonati di oggi che hanno similarità con il genere fantasy.
E, da non sottovalutare, Willow ha quegli espedienti comici che rendono la pellicola per tutti, poiché i comic relief spesso parlano al posto dello spettatore stesso, dicendo quello che tutti vorrebbero sentire in quel momento, come quando Madmartigan dice di voler rompere la gamba di Sorsha o i piccoli elfi Rool e Franjean commentano quello che succede.
Quel che rende fresco come prodotto filmico Willow è il fatto che riesce a impiantare un universo narrativo senza ammorbare chi guarda con complicate situazioni precedenti alla storia, e dunque senza aggiungere materiale che va contro alla sacrosanta regola di “mostrare ma non dire”. Difatti, Lucas aveva pensato a Willow come un altro cosmo fantasy da esplorare in tanti film, cosa che poi non si avvera se non per una tentata serie tv in anni recenti.
Uno sword and sorcery con ottima recitazione, ottimo cast, costumi, scenografie ed effetti.
A proposito di questi ultimi, gli effetti speciali del film includono l’animazione in stop-motion e, per la prima volta, la tecnologia del morphing per la scena in cui Fin Raziel assume diverse forme animali mentre Willow cerca di renderla di nuovo umana. I rottweiler vestiti con costumi sono stati utilizzati come le bestie che avrebbero attaccato chiunque si mettesse sulla loro strada. La tecnologia del chroma key, invece, è stata utilizzata per le scene con Rool e Franjean, per renderli otticamente più piccoli su uno schermo verde.
Supervisore di queste tecniche è Dennis Muren, che con questo film fonda le basi per la CGI moderna. Una curiosità? Il mostro a due teste creato da Muren si chiama Eborsisk, che prende il nome dai famosi critici cinematografici Gene Siskel e Roger Ebert. Un segnale alquanto poco velato!
Altro elemento da lodare è la colonna sonora del film, folkloristica e da favola, composta da James Horner che ha nel suo portfolio un’enorme eredità di lavoro dietro di sé, inclusi film come Avatar, Titanic e Glory.
Del film, è super interessante godere della recitazione di Warwick Davis, non solo perché l’attore per il ruolo da protagonista impara a cavalcare, a combattere con la spada e a fare magia per il film avendo solo 17 anni, ma perché costruire una storia su un gruppo di emarginati utilizzando un attore appartenente ad una minoranza ha un suo peso nell’impatto del film. Soprattutto se pensiamo agli anni ‘80 dove la diversità non è, di certo, cosa da tutti i giorni.
L’attore, che ha la condizione di nanismo, è perfetto per un personaggio impegnato nel suo coming of age (anche se ha già una famiglia e un lavoro) che lo porta da una condizione di disagio, paura e, se vogliamo, inferiorità, fino ad arrivare ad essere considerato un mago potentissimo persino dalla più malvagia e cinica delle regine, tanto da mandarla in uno stato di shock.
E la cosa fantastica, è che ci riesce con un fattore tra i meno soprannaturali di tutti: credendo in se stesso. Willow, infatti, sconfigge Bavmorda con nessuna delle nuove magie apprese nel corso degli eventi, ma solo con ciò che conosceva già, un vecchio trucco di magia. E, forse, è proprio la frase che gli pronuncia Fin Raziel che gli ricorda che ha solo bisogno di fidarsi del suo istinto: “qualunque cosa accada dovrei sempre ti ammiro”.
Oltre a vedere il finale come un trionfo del bene sul male, non è scontato valutare la sconfitta di Bavmorda come una punizione divina, o ancora come lei sia vittima di se stessa, talmente affamata di potere che si è intrappolata da sola in una profezia lontana nel tempo e che le avrebbe, forse, solo tolto il trono ma non la vita.
Willow è un bel film da vedere anche perché rompe gli stereotipi tradizionali, sia di genere sia del genere: Willow svolge il ruolo di un caregiver per l’infante, e non è il solito eroe spinto dalla morte di qualcuno della sua famiglia. Non c’è quel trope della “donna nel congelatore”, che serve solo come turning point nella vita dell’eroe come troppe volte succede nelle storie fantasy.
Anzi, nella storia le donne hanno un ruolo attivo, da Kiaya che ignora Willow prendendo con sé la piccola Elora, a Sorsha, una guerriera potente e meschina. Alcuni dei personaggi più potenti del film sono donne anziane, difatti Bavmorda e la strega buona Fin Raziel mostrano un’immagine diversa di potere femminile rispetto a molti altri film. C’è qualcosa di così incredibilmente cool nello scontro tra queste due signore anziane che si picchiano a vicenda, soprattutto quando si nota che Raziel ha dei graffi in volto.
È invece bella l’amicizia che, a fatica, Madmartigan instaura con Willow e Airk: due modi completamente diversi di approcciarsi all’altro, Madmartigan dimostra di essere un idiota arrogante tutto il tempo. Se Willow viene trattato con quasi pietà e sufficienza, Airk invece viene addirittura minacciato da Madmartigan, che vede il condottiero come uno sfidante.
Eppure rimane immensamente simpatico, e si affeziona ad entrambi, tanto da voler combattere fino alla fine proprio per tutti e due. E per Elora, che lo ha conquistato sin da subito con il suo sorriso, non prendendo mai sul serio il fatto che possa essere una principessa.
E, infine, l’elemento romantico tra Madmartigan e Sorsha, sebbene troppo forzato per via della “polvere magica”, lascia senza fiato e rimane una delle dichiarazioni d’amore cinematografiche tra le più belle, con tutta la sua assurdità.
George Lucas e Ron Howard fanno un buon lavoro con questo fantasy che tiene ancora incollati gli spettatori, cui molti ci fanno ritorno con nostalgia: la storia non è mai davvero scontata, anche se il lieto fine è fortemente aspettato. Sarà forse per le battute di spirito, o per le scene d’azione epiche e mai noiose, o per tutti i motivi raccontati sopra, Willow è un film di cui si dovrebbe parlare di più. E menomale che è disponibile su Disney+.