A distanza di tredici anni James Cameron torna su Pandora con Avatar – La via dell’acqua, attesissimo sequel di quel capolavoro visivo del 2009 che era solo il primo passo verso la perfezione di oggi.

Tredici anni d’attesa per il nuovo Avatar sono tanti, è vero, ma basta entrare in sala e indossare gli occhialini per capire che questo 3D sembra frutto di un lavoro durato una vita intera. Insomma, l’effetto visivo che Cameron è riuscito ad avere, per il suo grande ritorno su Pandora, vale ogni anno perché sembra arrivato dal futuro.

L’esperienza estetica, visiva, gli effetti speciali perfettamente modellati sulla realtà, con cui si sposano benissimo, fanno sembrare il primo Avatar solo una prova generale; e c’è da dire che già nel 2009 si era gridato al capolavoro (ricordiamoci che è stato il film col maggior incasso della storia del cinema).

Il regista però alza l’asticella, definendo i suoi effetti speciali un altro mondo rispetto a quelli Marvel che ci hanno tenuto compagnia fino ad oggi, nessuna offesa, è solo che non ci sono paragoni.
E questo Avatar – La via dell’acqua per James Cameron non è ancora tutto, perché è solo il primo dei quattro sequel che ha programmato dal 2022 al 2028.

Come dire: sedetevi, il viaggio è appena iniziato. Tre ore, tre atti.
Nel primo siamo nella foresta che abbiamo conosciuto nel 2009, ma che bisogna lasciare per entrare nel dilatatissimo secondo atto, dove si arriva a una nuova vita e nuove abitudini tutte acquatiche per poi approdare all’ultimo che è pura azione e scontro fisico.
Un lungo viaggio diviso in tre parti ben distinte, ma che confluiscono perfettamente l’una nell’altra.

E il viaggio ricomincia, non proprio da dove l’avevamo lasciato tredici anni fa, ma il gap temporale viene affrontato in modo semplicissimo da Cameron, con la voce narrante di Jake Sully, Sam Worthington, che aggiorna brevemente il pubblico sugli eventi che hanno portato all’oggi di Pandora, non un invadente “spiegone” ma un piccolo e necessario recap.

Jake Sully e Neytiri, ancora Zoe Saldana, oggi genitori di ben quattro figli, cedono il testimone ai giovani, perché sono proprio loro i veri protagonisti di questo secondo capitolo. Sì, perché Avatar – La via dell’acqua è un film corale, con tanti personaggi tutti ben caratterizzati, con una storia alle spalle che viene sviscerata nel corso della narrazione di ben 3h e 10, quindi il tempo per parlare di tutti i personaggi non manca.
Il nucleo familiare è al centro, l’amore, gli attriti, gli scontri e l’eterno sacrificio per tenere unita la famiglia, a qualsiasi costo, contro ogni minaccia, anche se questo significa lasciare la propria casa. Ed è questo che James Cameron fa, cambia contesto, e se nel 2009 ci aveva fatto immergere nella foresta di Pandora, con creature fantastiche e colori strabilianti, oggi ci porta nell’Oceano, presso il clan dei Metkayina, con la brava, anche se poco riconoscibile esteticamente, Kate Winslet e il suo popolo che vive in prossimità dell’acqua.

Diversi fisicamente, sia per forma che per colore, i nuovi personaggi porteranno sullo schermo un nuovo modo di vivere e di coesistere con la natura e con l’ecosistema acquatico, ma soprattutto ci mostrano l’eterna e pacifica convivenza tra diverse specie, argomento che ben poco appartiene all’uomo odierno.

Quindi è l’acqua l’elemento fondante di questo secondo Avatar, lo stretto legame con i tulkun (creature marine simili a delle balene) e le meraviglie del poter vivere e convivere con la natura. E il lavorare con l’acqua è la vera difficoltà per il regista, difficoltà che stando alla resa cinematografica sembra impercettibile, grazie al perfetto ricreare il movimento sinuoso delle onde e di tutto ciò che popola il fondale marino, che restituisce al meglio la consistenza sfuggente e mutevole dell’acqua, quasi da poterla sentire realmente.

Certo, non è un segreto che Avatar sia un film prettamente visivo, un viaggio all’interno del CGI, del 3D e della totale immersione del pubblico nel film e nello schermo. Insomma, la trama non è il fulcro di Avatar, nè del primo nè del secondo, anche se quest’ultimo porta sullo schermo un racconto interessante, sicuramente più complesso del primo capitolo, ma che rimane sullo sfondo di uno spiegamento di tecnologia assurdo; il budget è di 400 milioni di dollari, e si vedono tutti.

Questo si sapeva, Avatar è il trionfo dell’estetica, è lo stupore della tecnica, della regia e degli effetti speciali curati da Wētā FX sotto la supervisioni di Joe Letteri, che riescono a stupire facendo tornare il pubblico bambino per tre ore. E nonostante alcuni abbiano criticato la storia di fondo, diciamocelo, non è per questo che si va a vedere un film d’animazione con gli occhialini forniti all’ingresso. Nonostante tutto però, possiamo tranquillamente dire che la storia sia il naturale proseguo della prima parte, ma anche un film a sé stante, come voleva lo stesso regista, un capitolo tutto nuovo che contrappone l’essere umano e i Na’vi.

Ecco l’emblema dell’uomo spietato è ancora il colonnello Miles Quaritch, Stephen Lang del primo film, stavolta però nel corpo di un Na’vi, con tutti i cambiamenti del caso che subirà nel corso della storia. L’uomo è l’eterno antagonista: del film, della natura e del mondo intero; l’uomo incattivito e pronto a tutto pur di conquistare e colonizzare, di sottomettere e distruggere in nome della supremazia e del guadagno. Che siano Na’vi o simil-animali, tutto si può distruggere se fa comodo all’umanità, pacifico e innocuo che sia.

Ecco, il tema dell’ambientalismo in Avatar la fa da padrone, non solo perché attualissimo in questo periodo ma perché riesce a far immedesimare il pubblico tanto da far vergognare, commuovere e riflettere, specialmente se visto dalla parte di chi le sofferenze le subisce. Ed è questo il terzo atto, una lotta a suon di esplosioni, tecnologie avanzate e le immancabili frecce dei Na’vi che danno ritmo all’ultima parte del film.

Impossibile non citare poi le musiche di Simon Franglen, costante sottofondo ad ogni inquadratura, quasi come la musica fosse un personaggio onnipresente che accompagna tutta la narrazione.

La regia di Cameron, tutta digitalizzata, qui tocca livelli altissimi con i suoi effetti visivi che sembrano essersi evoluti nel tempo tanto da poter abbracciare il pubblico, facendolo immergere a 360 gradi nel mondo di Pandora sfruttando quel 3D, che non tutti amano, ma che qui è necessario per apprezzare il film al 100%. E’ pensato così e così andrebbe visto.

Cameron quindi ristabilisce il ritorno in sala creando un film confezionato appositamente per il grande schermo e che sinceramente starebbe strettissimo sulle piattaforme streaming.