Andrej Rublëv  è il secondo film del cineasta russo Andrej Tarkovskij, uscito nel 1966, a causa di problemi legati alla censura è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes solo nel 1969 e per volontà del regista l’uscita su ampia scala fu ritardata al 1971.

Un occhio cinematografico che osserva la storia della Russia del XV secolo attraverso le gesta del pittore di icone Andrej Rublëv. La pellicola descrive un’epoca segnata dalle lotte interne e dalle invasioni dei Tartari, una storia cruda che diventa parabola sul senso dell’arte.

Tarkovskij scrisse Andrej Rublev insieme allo sceneggiatore Andrej Michalkov-Končalovskij con lo scopo di giungere al significato ultimo delle cose, basandosi sul potere dell’arte e della fede in un periodo storico in cui aleggia il terrore, la fame e la pestilenza.

Con i suoi otto capitoli, la pellicola è strutturata secondo una modalità che ricorda gli atti della tragedia greca: si parte da un prologo, si susseguono i capitoli fino a giungere all’epilogo finale.
Fin dalla prima scena, Andrej Rublev pone le basi ad un tentativo di ascesa, ad un’ambizione verso qualcosa di sconosciuto che, in realtà, prevede soltanto una rovinosa caduta.
Tarkovskij racconta – all’interno di una società medievale – il percorso di Andrej che lo porta a dubitare della propria fede religiosa in senso stretto e a legarsi ad una sublimazione dell’arte come valore assoluto e pilastro dell’esistenza.

La scelta del bianco e nero è parte di quella grande espressività e ricerca che segue l’intera storia e caratterizza ogni fotogramma. L’assenza del colore conferisce intensità e concentra l’attenzione sulle azioni, sulle caratteristiche dei personaggi e sui dialoghi. D’altra parte il bianco e nero lascia nello spettatore un certo senso di distacco, che si esaurisce solo sul finale con la comparsa del colore.

Con una macchina da presa che sposta il suo occhio da sinistra a destra, avvicinandosi lentamente ai suoi personaggi e definendo quei caratteri rudi e burberi che caratterizzano ogni tappa del cammino di Andrej. L’utilizzo della soggettiva pone l’accento su una dimensione riflessiva.
Andrej Rublev insegue una dimensione filosofica, dove il protagonista affronta la rilevanza dell’arte come mezzo per comunicare quell’esistenza a metà strada tra realtà e spiritualità.

Proprio la spiritualità – che ha causato a Tarkovskij notevoli problemi con la censura – va a contrapporsi direttamente con quegli ideali puramente politici, figli di quella Repubblica Socialista Sovietica che rigetta ogni spazio riservato alla libertà di culto.

Il messaggio fortemente religioso delle icone sacre e il loro carattere atemporale raffigurano ciò che Andrej è destinato a esprimere: la fede artistica.
È infatti solo l’arte il grande mezzo che idealmente può contrastare la brutalità.