Rome Independent Film Festival 2023 inaugura la sua ventiduesima edizione con il thriller francese Sopravvissuti (White Paradise / Les Survivants) diretto da Guillaume Renusson, battezzando così il debutto italiano della pellicola prima della distribuzione ufficiale che sarà a marzo 2024.
Seppur presentato come un thriller, Sopravvissuti presenta forti caratteristiche dei film d’azione (per via dei combattimenti ravvicinati), mescolati con una componente di denuncia sociale solitamente tipica nei film indipendenti.
Sopravvissuti, la trama del film indie presentato al RIFF
Distribuito da No.Mad Entertainment, il regista Guillaume Renusson debutta sul grande schermo con una fuga dal lutto che si scontra con moti reazionari: la storia di Sopravvissuti si installa tra la Francia e l’Italia (precisamente tra le Alte Alpi e le Alpi dell’Alta Provenza) e vede come protagonista Samuel (Denis Menochet), alle prese con la riabilitazione fisica e mentale a seguito di un tragico incidente stradale che lo ha coinvolto e che ha portato alla morte di sua moglie.

Il rapporto con la piccola figlia Lea (Roxane Barazzuol) traballa per via del dolore della perdita. Perciò, spinto dalla volontà di rifiutare un ritorno alla vita normale e ai rapporti sociali, Samuel decide di ritirarsi nel suo chalet di famiglia nel cuore delle Alpi italiane.
Durante una tormenta di neve, una giovane donna straniera di nome Chehreh (Zar Amir Ebrahimi) cerca rifugio nella sua casa, desiderosa di attraversare le montagne per raggiungere la Francia. Nonostante l’iniziale riluttanza a coinvolgersi, Samuel decide di aiutarla, scontrandosi da lì a poco con dei “cacciatori di immigrati clandestini”, il trio italo-francese composto da Stefano (Luca Terracciano), una vecchia conoscenza di Samuel, Justine (Victoire Du Bois) e Victor (Oscar Copp).
I protagonisti vivono un’odissea tra neve, gelide notti e intricati boschi per sopravvivere ai loro inseguitori.
White Paradise, un film di parallelismi tra lutto e rigetto

Resta difficile scrivere una recensione senza spiegare passo passo quello che succede in ogni scena, poiché il film è profetico e metaforico. Dopo il primo posticcio piano sequenza con la fuga di Chehreh, c’è l’immersione in piscina di Samuel, che per lui è una bolla che lo protegge e allontana dal mondo esterno: onestamente, viene facile associare la piscina agli esiti tragici di molti sbarchi di cui siamo testimoni troppo spesso e l’impressione è che questa cosa sia voluta, sottolineando l’enorme differenza dell’impatto dell’elemento acqueo che può essere culla e gabbia, che può essere un ostacolo, ma a volte anche una via di fuga.
Il film è anche profetico perché il regista si sofferma molto sugli sguardi e sulle battute concise (che però sembrano durare tantissimo), che vengono diretti agli immigrati clandestini, al fratello, ai tre antagonisti e perfino al pastore tedesco. C’è un enorme non detto tra questi scambi che rende intensa tutta la costruzione della storia.
Fuga, rifiuto, lutto sono i punti cardine di Sopravvissuti: Samuel e Chehreh fuggono dalle loro situazioni, chi per ritrovare una normalità e chi per allontanarla il più possibile. Anche gli abitanti scappano da quelle Alpi della Provenza (come fa il padre di Stefano), rendendo quella zona un cimitero, salvo qualche passante che attraversa la frontiera.

La morte è onnipresente, infatti Chehreh e Samuel sono entrambi vedovi, il territorio alpino è una terra di fantasmi e, inoltre, la morte misura chi merita dignità e chi no.
E poi c’è il rifiuto, che per Chehreh è non voler sottostare alla violenza dei talebani prima e dei cacciatori dopo, quello di Samuel nei confronti dei sentimenti della figlia, il rifiuto di Victor, Stefano e Justine nell’abbandonare quella terra bianca.
Il film è dunque un macrotema con un finale da “sospiro di sollievo”, ma l’azione non manca affatto: Sopravvissuti sembra quasi un western, di fatti c’è una caccia all’uomo nella vastità della natura selvaggia che sfrutta droni, slitte trainate come cavalli, cani addestrati e pistole. C’è, in aggiunta, un codice d’onore superiore alla legge, dove ci si può sporcare le mani per i clandestini, ma non per un francese.

Tutto per proteggere quel bianco paradiso, o paradiso dei bianchi. Non è un caso che il titolo anglosassone sia proprio White Paradise.
Eppure, il film non è esente da difetti: al di là dell’impressione di una forzatura della trama per via di scelte che sembrano impulsive da parte del protagonista, il fanatismo dei mercenari è così piatto e quasi ridicolo. Seppur ci sia l’idea di protezione del territorio, per la maggior parte del film sembrano degli adolescenti bulli presi dalla noia (e forse da qualche scambio monetario con le forze dell’ordine) e, francamente, sembra un modo troppo banale di trasporre il tema.