Due fratellini e un lutto improvviso. Una famiglia distrutta e una nuova, difficile realtà da accettare. Un’isolata casa in montagna e le imminenti feste natalizie. E poi, non per ultima, una sgradevole e costante sensazione che stia per accadere qualcosa di molto, ma molto spiacevole. Tutto questo è presente in The Lodge, ultimo lungometraggio dei registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala (divenuti famosi al di fuori dei confini nazionali per Goodnight Mommy, del 2014), nonché loro primo prodotto realizzato in lingua inglese.

La vicenda, dunque, prende il via nel momento in cui la madre dei piccoli Mia e Aidan si uccide dopo essere stata lasciata dal marito e aver scoperto che quest’ultimo vuole sposarsi con un’altra donna. I due bambini, mesi dopo l’accaduto, andranno a trascorrere le vacanze di Natale nella casa di montagna del loro padre. Peccato che quest’ultimo sarà via per lavoro durante i primi giorni di festa e i due dovranno restare con la loro matrigna, una giovane donna dal passato oscuro.

E a questo punto, entra in gioco un ulteriore e altrettanto importante personaggio: la casa stessa in cui i protagonisti si trovano. Una casa buia, eccessivamente buia, angusta, con lunghi corridoi e poca luce che filtra dalle finestre, malgrado il bianco accecante e sovraesposto della distesa di neve all’esterno. Una casa che – come si può vedere all’inizio del lungometraggio – è anche stata riprodotta in un modellino più piccolo dai bambini stessi. Ma che, anche in questo loro infantile gioco, ci appare eccessivamente tetra e oscura.


Proprio come è avvenuto in Goodnight Mommy, anche nel presente The Lodge i registi hanno optato principalmente per un’unica location. E all’interno della stessa sono lunghe inquadrature, assordanti silenzi, continue sensazioni negative e una severa e giudicante religiosità in grado di generare fortissimi sensi di colpa a caratterizzare l’intero lavoro. Un lavoro che – in determinate situazioni – ci ricorda molto (troppo?) quanto realizzato in passato nell’ambito del cinema di genere (impossibile non pensare in alcuni momenti, ad esempio, all’ormai cult The Others di Alejandro Amenabar), ma che, allo stesso tempo, sta a confermare una cifra stilistica che per i due registi si è rivelata vincente nei lavori precedenti, al punto da far sì che i due si classificassero come tra i nomi più in vista del cinema di genere austriaco contemporaneo.

E se continui ribaltamenti e risvolti di sceneggiatura stanno a scardinare tutte le convinzioni e le idee che lo spettatore si era fatto in merito, è anche vero che, tutto sommato, Veronika Franz e Severin Fiala a tratti ci sembrano ancora un po’ “impacciati”. Malgrado, infatti, una cifra stilistica ben marcata e – nonostante le numerose “contaminazioni esterne” – piuttosto soggettiva, ci sono dei momenti in cui sembra che i due non abbiano ben preciso dove voler andare a parare, per poi riprendersi, salvandosi in corner, appena prima dei momenti clou. Ma questa loro indecisione può essere attribuita molto probabilmente a una relativamente breve esperienza dietro la macchina da presa (The Lodge, di fatto, è solo il loro terzo lungometraggio). Esperienza che, dati i ritmi produttivi dei due cineasti, si farà in ogni caso, via via sempre più matura e importante.