Quando pensiamo a un film come Il Corvo – diretto nel 1994 da Alex Proyas e tratto dall’omonimo fumetto di James O’Barr – non possiamo non ricordare la tragica morte del giovane Brandon Lee (figlio del grande Bruce Lee) a causa di un colpo di pistola partito accidentalmente durante le riprese.
Eppure, considerando il lungometraggio esclusivamente dal punto di vista della sua resa finale sul grande schermo, non possiamo non riconoscere alla pellicola di Proyas un’indubbia qualità artistica, oltre a una spiccata potenza visiva.
Tutti questi fattori hanno fatto sì che nel corso degli anni il film diventasse un vero e proprio cult, dando il via a un robusto merchandising, a ben tre sequel – Il Corvo 2 (diretto da Tim Pope nel 1996), Il Corvo 3 – Salvation (Bharat Nalluri, 2000) e Il Corvo – Preghiera maledetta (Lance Murgia, 2005), nessuno dei quali particolarmente degno di nota – e a un’omonima seria televisiva (realizzata tra il 1998 e il 1999).
Ma, di fatto, di cosa tratta il presente Il Corvo? Presto detto.
La storia messa in scena è quella del musicista Eric Draven (Brandon Lee, appunto), il quale, alla vigilia di Halloween, viene assassinato insieme alla sua fidanzata Shelly (Sofia Shinas) da un gruppo di drogati. Un anno dopo, un misterioso corvo si posa sulla tomba di Eric e quest’ultimo, miracolosamente, risorge.
Deciso a vendicare la morte della sua amata Shelly, egli proverà a rintracciare i criminali che li hanno uccisi, scoprendo (grazie anche, e soprattutto, a un flashback) che questi sono capitanati da un certo T-Bird (David Patrick Kelly) e che continuano a compiere crimini in città.
Il Corvo, dunque, si distingue immediatamente per le sue atmosfere dark e gotiche (ulteriormente caratterizzate da musiche a opera dei Cure e dei Joy Division), per scene girate prevalentemente in notturna, per il volto underground di una città in cui sembra non esserci speranza di redenzione alcuna per le anime in pena, per indimenticabili primi piani sul volto di Brandon Lee, in grado di trasmetterci un profondo desiderio di vendetta, insieme, al contempo, a una rassegnata tristezza, senza mai andare sopra le righe.
In seguito alla tragica morte di Lee, al fine di concludere le riprese si è provato a riscrivere alcune scene, girando molte delle quali con controfigure o con ricostruzioni in digitale. La resa finale è complessivamente soddisfacente.
Se c’è qualcosa che, tuttavia, all’interno de Il Corvo non sempre convince, ciò è rappresentato proprio da un (non semplice) discorso riguardante principalmente la vita, la morte, la droga e ciò che facciamo delle nostre vite.
È in questo caso, infatti, che spesso i dialoghi si “appiattiscono”, che pericolosi luoghi comuni sembrano avere la meglio, che una più e più volte sperimentata retorica sembra a tutti i costi voler fare da protagonista assoluta. Ma sta bene.
Nonostante ciò, Il Corvo viene ricordato – oltre che per la drammatica storia di Lee – soprattutto per la sua straordinaria potenza visiva e per la cura della messa in scena stessa. E a distanza di quasi trent’anni dalla sua realizzazione, possiamo decisamente affermare che il grande Brandon Lee è divenuto, ormai, meritatamente immortale.