Tra le avanguardie degli anni ’20 quella più “rivoluzionaria” è rappresentata dal movimento surrealista. Il territorio che si propongono di esplorare gli artisti del surrealismo è quello dell’inconscio. Per Breton, autore del “Manifesto del surrealismo” del 1924, il sogno è il luogo dove si manifestano tutte le pulsioni e i desideri repressi dalla censura rappresentata dalla norma borghese. In linea con le ricerche di Freud, i surrealisti vogliono fare emergere il lato inconscio di ognuno, un lato primitivo e violento perturbatore dell’ordine costituito.
Nel cinema il maggiore esponente del surrealismo è Louis Buñuel, il cui film Un chien andalou, realizzato nel 1929 assieme a Salvador Dalì, può essere considerato il manifesto del movimento cinematografico. La sequenza iniziale con l’occhio in primo piano di una donna tagliato da un affilato rasoio esprime la necessità di un nuovo modo di vedere la realtà che non arretri dinanzi a verità scomode, ma persegua una visione “crudele” di tutti i nostri lati oscuri. La mano piena di formiche e il cavallo morto trascinato nella camera da letto sono alcune tra le immagini paradossali che si inseriscono in un flusso onirico senza alcuna logica apparente. L’intero film si muove tra veglia e sonno, tra ragione e follia ed esalta uno dei topoi cari alla letteratura surrealista, quello dell’amour fou capace di scardinare con la sua forza tutte le convenzioni sociali ( tema ripreso anche nel successivo Age d’or , dove si combina con la polemica anticlericale e antimilitarista)
Diverso è il caso del cinema di Antonin Artaud, con cui il poeta maledetto prende le distanze dai surrealisti con l’intento di rappresentare il “pensiero al lavoro” attraverso immagini collegate con ardite analogie in un flusso obbediente ad un’altra logica, ma altrettanto consequenziale. Il suo scenario “La coquille et le clergyman”, realizzato dalla regista Germaine Dulac, rappresenta in maniera allucinatoria il rapporto impossibile tra una giovane donna e un sacerdote ossessionato dal sesso. Non si tratta questa volta di un sogno, ma di una concatenazione di momenti della coscienza che si svolge come in uno stato di trance lucida (per questo la didascalia iniziale “un sogno di Antonin Artaud” aggiunta dalla regista fu causa di dissidio tra i due e fu preludio dell’abbandono da parte di Artaud del cinema a favore del meno condizionante teatro).
Un precursore del surrealismo è l’”animistico” La caduta della casa Usher girato nel 1928 da Jean Epstein, una macabra storia tra onirismo e simbolismo dove sul piano del linguaggio filmico le sovrimpressioni e l’impiego del rallentatore producono una realtà sospesa tra la vita e la morte (al film collaborò anche Buñuel nel ruolo di aiuto regista)
A rimanere fedele all’estetica surrealista è stato in tutta la sua lunga carriera Buñuel, anche nel periodo messicano, quando fu costretto a girare soltanto melodrammi popolari al cui interno, pur tuttavia, non mancano venature di follia con il loro repertorio di piccole e grandi perversioni situate in ambienti benpensanti.
Nelle sue espressioni più alte, il cinema surrealista è davvero un’arte sovversiva che porte alle estreme conseguenze la visione onirica e paradossale della grande pittura similare di un Dalì o un Magritte. Tracce di surrealismo si ritroveranno in seguito anche in registi di varia ispirazione, basti pensare ai sogni visualizzati nei suoi film da Hitchcock, come quelli presenti ne “La donna che visse due volte” e “Io ti salverò”, per non parlare del tono surrealista che caratterizza tanti film horror come quelli di Cronenberg e di Argento. D’altra parte, si potrebbe dire che, in fondo, tutto il cinema è un po’ surrealista se è vero che lo schermo è come una finestra aperta sui sogni, sugli incubi, sui mostri, sui fantasmi e sulle passioni proibite di tutti noi.
Angelo Moscariello