La prima edizione del Festival di Berlino è del 1951. Nonostante sia più giovane di Venezia e di Cannes, è la più grande manifestazione cinematografica al mondo e attira ogni anno più di 300 mila visitatori.
L’Orso d’oro in settant’anni di Festival è stato consegnato a sei registi italiani: Michelangelo Antonioni, Gian Luigi Polidoro, Vittorio De Sica, Pier Paolo Pasolini, Marco Ferreri, i fratelli Taviani e Gianfranco Rosi. Molte delle pellicole che hanno ricevuto la prestigiosa statuetta sono diventate delle pietre miliari della storia del cinema.
Con la 73esima edizione della Berlinale alle porte noi di Cabiria ci teniamo a ricordarne cinque:
1) Cenerentola (1950) di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske.

Primo grande successo della Disney dopo quasi dieci anni di risultati mediocri al botteghino, Cenerentola segnò il ritorno a una grande produzione ispirata a un’unica storia dopo otto anni di film-collage di cortometraggi. La protagonista femminile appare come un personaggio molto moderno: una donna grintosa, intelligente, tenace. Ma allo stesso tempo malinconica e facilmente irritabile. Cenerentola è consapevole di poter ambire a una vita migliore e lotterà con astuzia e caparbietà per guadagnarsi un futuro migliore.
Cenerentola ha preso ispirazione principalmente dalla fiaba Cendrillon di Charles Perrault (il padre di muore all’inizio della fiaba e l’incantesimo termina all’ultimo tocco della mezzanotte; le scarpette di cristallo, la zucca che si trasforma in carrozza) e dalla versione Aschenputtel dei fratelli Grimm, Disney ha ripreso gli uccelli che aiutano Cenerentola e il sadismo della matrigna e delle sorellastre. Furono appositamente create delle sequenze comiche come quelle dei topolini e del gatto, sulla scia dei film precedenti. Il lungometraggio fu il maggiore incasso nell’anno 1950 e ha avuto due seguiti: Cenerentola II – Quando i sogni diventano realtà del 2002 e Cenerentola – Il gioco del destino del 2007, entrambi per il mercato direct-to-video. E’ stato realizzato un remake omonimo nel 2015 in live action e a indossare la scarpetta di cristallo è stata Lily James.
Nonostante siano passati più di settant’anni, Cenerentola resta uno dei classici Disney più amati al mondo.
2) Il posto delle fragole (1957) di Ingmar Bergman.

Capolavoro indiscusso del regista norvegese, è una meditazione sulla vita e sulla morte. Un film sul tempo che si snoda tra i ricordi della vita passata e tra i rimpianti per le occasioni perdute. La pellicola, una delle vette degli anni ’50, è stato il maggior successo commerciale di Bergman e una delle sue opere più premiate.
Ne Il posto delle fragole esplora la mente con un viaggio nella memoria, come solo lui sa fare, nel suo bianco e nero nitidissimo. Il film alterna il rigore bergmaniano a esplosioni oniriche in cui è evidente l’influsso del surrealismo e dell’espressionismo, come quello di Dalì. Più che un film, Il posto delle fragole è un’esperienza in cui si accavallano finzione, realtà, sogni, incubi e ricordi.
3) La parola ai giurati (1957) di Sidney Lumet.

La pellicola claustrofobica per eccellenza segna l’esordio al cinema di Lumet. La sceneggiatura è un adattamento dell’originale soggetto di Reginald Rose Twelve Angry Men, scritto nel 1954 per la TV, e racconta la storia di un componente di una giuria che, sulla base di un “ragionevole dubbio”, tenta di persuadere gli altri undici membri ad assolvere un ragazzo accusato di parricidio.
Il film è quasi interamente girato in un solo set (ad esclusione di tre minuti suddivisi tra l’inizio e la fine e due brevi scene girate in una sala da bagno). L’intera vicenda si svolge nella stanza in cui si riunisce la giuria durante l’arco di un unico pomeriggio. La tensione è la vera protagonista della pellicola e Lumet è un mastro nel giocare con gli sguardi degli attori e sui piani. Dodici uomini arrabbiati identificati solo con dei numeri, sempre in scena, caratterizzati da un superbo approfondimento psicologico. Lo spettatore scopre di più su ogni giurato col mutare delle loro opinioni, fino ad arrivare all’agognato verdetto che farà riflettere sul valore del giudizio.
4) La notte (1961) di Michelangelo Antonioni.

Il maestro Antonioni è il primo italiano a ottenere il massimo riconoscimento del Festival di Berlino grazie al secondo capitolo della “trilogia dell’incomunicabilità“.
La notte è ispirato da un racconto di Joyce situato all’interno della raccolta Gente di Dublino e tratta la difficoltà di comunicare e l’incapacità di essere soddisfatti.
Al centro della pellicola ci sono la noia e l’insoddisfazione della borghesia del tempo, ma anche l’angoscia e la disperazione raccontati dalla poetica intellettuale che contraddistingue il regista.
Scritto da Ennio Flaiano e Tonino Guerra (oltre che da Antonioni stesso), La notte è un film che porta avanti non solo il discorso filosofico iniziato dal regista con L’avventura, ma anche il suo lavoro di destabilizzazione e reinvenzione del linguaggio cinematografico e narrativo.
La pellicola fu classificata dalla Commissione per la Revisione cinematografica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali come vietato ai minori di sedici anni e subì dei tagli di censura. Poco amato dal pubblico e molto celebrato dalla critica, segna due delle migliori interpretazioni di Monica Vitti e Marcello Mastroianni.
5) La sottile linea rossa (1998) di Terrence Malick.

Non semplicemente un film di guerra, ma un’opera complessa e profonda narrata da un coro di diverse voci interiori che confluiscono in una sola. La sottile linea rossa è il terzo lungometraggio di Malick che torna dietro la macchina da presa dopo vent’anni per raccontare con la sua poetica la seconda guerra mondiale. La sua opera è una riflessione sul senso dell’esistenza, sulla violenza e sull’assurdità della guerra. Un film profondo e memorabile tratto dal romanzo di James Jones con una colonna sonora toccante firmata da Hans Zimmer.
Un cast corale d’eccellenza (Jim Caviziel, Sean Penn, Adrien Brody, Jared Leto, John Travolta, Nick Nolte e George Clooney) interpreta un plotone di soldati con tormenti interiori e paure ad affrontare il conflitto. Alla notizia del progetto ad Hollywood centinaia di attori si proposero per una parte, alcuni anche dichiarando di recitare gratis pur di entrare nella grandiosa produzione di Malick. Per questo il film è pieno di stars con ruoli maggiori e minori, semplici comparse o addirittura tagliate in post produzione (e quindi nemmeno citate nei titoli di coda).
La sottile linea rossa segna l’inizio del percorso di Malick nell’analizzare il viaggio della vita esplorando l’essere umano e l’onnipotenza della natura. Un’esplorazione che caratterizza il suo cinema e che ha regalato a noi spettatori dei capolavori indiscussi.
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