Ambienti metropolitani loschi e avvolti dalle ombre, qualcosa di pericoloso sta per accadere, il crimine sta per colpire. Questa è in breve la sintesi del noir, sottogenere tra i più affascinanti del cinema.
Il noir ha radici lontane, si sviluppa prevalentemente negli anni Quaranta, ma è solamente metà degli anni Cinquanta che prende il suo nome grazie ai critici francesi Raymond Borde ed Etienne Chaumeton.

Fortemente influenzato dalla letteratura hard-boiled, il noir si distingue dal macrogenere crime per la sua peculiare e impattante estetica visiva.
Attraverso il bianco e nero e le cupe ombre, che ricordano le atmosfere dell’espressionismo tedesco, il noir si avvale di un realismo che si rifà ad una società carica di disillusione e malavita tipica del periodo post-bellico.

Il regista e sceneggiatore Paul Schrader (American Gigolò, Il collezionista di carte, Master Gardner) identifica quattro aspetti che definirebbero – secondo lui e secondo il critico Arthur Knight – la nascita e lo sviluppo del noir. Lo sceneggiatore di Taxi Driver e Toro Scatenato circoscrive la disillusione post-bellica, il realismo, l’influenza dell’espressionismo tedesco e la tradizione letteraria hard-boiled.

In verità il noir è la sintesi di un’estetica cinematografica all’interno del quale sono racchiuse geniali intuizioni registiche, basti pensare a film come Il Mistero del Falco (1941), La Fiamma del Peccato (1944), Vertigine (1944), La Signora di Shanghai (1949) e molti altri.

Possiamo dire che il protagonista dei noir è un antieroe, un investigatore privato che si lascia sopprafare dalle proprie insicurezze, ma ancora di più dalla nostalgia. La sua vita è anonima come il cappello che indossa e non riesce mai cambiare, ma spesso interagisce con la femme fatale.

Quest’ultima è il ruolo ricoperto dalla co-protagonista che spesso disorienta il protagonista mettendolo anche in pericolo. All’interno di un’atmosfera così cupa, si inserisce anche una componente onirica: per essere precisi la freudiana visione secondo cui gli esseri umani sono guidati da pulsioni di vita e morte. Tutto questo, insieme a dei velati tratti allucinatori, definisce l’ultimo periodo in cui il noir inizia ad esaurirsi fino alla sua conclusione nella primissima metà degli anni Cinquanta.

Il Mistero del Falco, Chinatown (1974) e L.A. Confidential (1997) sono tre pellicole che appartengono a epoche molto diverse tra loro, ma che sono influenzate e intrise da atmosfere e tematiche proprie del noir.
Usciti in tre periodi storici differenti non condividono l’uso del bianco e nero e hanno una loro personale modalità di mostrare azione ed evoluzione di protagonisti che non appartengono “ai buoni”, o almeno non in modo convenzionale.

Ne Il Mistero del Falco una voce fuori campo ci anticipa della sparizione del falcone maltese, prima di farci piombare nell’ufficio dei detective Miles Archer (Jerome Cowan) e Sam Spade (Humphrey Bogart) a cui Miss. Wonderly (Mary Astor), commissiona la ricerca della sorella scomparsa. Inaspettatamente, però Sam dovrà indagare su più casi per sbrogliare l’intricata matassa di omicidi dietro la preziosa statuetta, nonché cimelio storico dal valore inestimabile.

Considerato il film che dà inizio al periodo noir, Il Mistero del Falco è un piccolo capolavoro diretto da John Huston, basato sul romanzo scritto da Dashiell Hammett nel 1929.
La storia appare intricata agli occhi dello spettatore, così come al detective Sam che si lascia trasportare dal suo scetticismo, riuscendo a salvarsi anche dalle accuse di omicidio che gli vengono mosse dalla polizia.

Il lungometraggio è un viaggio alla ricerca di un oggetto che però non vediamo mai. Gli ambienti sono quasi sempre luoghi al chiuso, mentre quei momenti passeggeri che avvengono all’aperto sono saturi di chiaroscuri. Il protagonista Sam è un diffidente che si lascia trasportare dal buon guadagno ed è circondato da personaggi con caratteri differenti, eppure perfettamente realistici e omogenei sulla scena. Ognuno di loro è mostrato attraverso la profondità di campo e dei forti chiaroscuri derivati da una fotografia low-key in cui prevalgono l’ombra e i toni scuri, si enfatizza la condizione di solitudine del protagonista e il suo adattamento costante al mondo intorno a sé.

ll noir è una sottocategoria del mistero, dell’orrore, della paura, dell’introspezione che discende dai più identificabili generi, quali gangster movie, poliziesco, thriller, drammatico.
Sono gli anni Settanta, nonostante ci troviamo in un vigoroso cambiamento del cinema, il noir continua difatti ad ispirare anche i registi della Nuova Hollywood come Roman Polanski, che nel 1974 dirige Chinatown.

Chinatown è ambientano a Los Angeles nel 1937 e il protagonista è il detective J.J. Gittes (Jack Nicholson) che viene incaricato da una donna di indagare sull’infedeltà del marito Hollis Mulwray (Darrel Zwerling) direttore Dipartimento per l’acqua e l’energia elettrica di Los Angeles. Più tardi la vera Evelyn Mulwray (Faye Dunaway) si palesa nell’ufficio di Gittes denunciando di essere sconosciuta ai fatti. Hollis, però viene trovato ucciso poco dopo in un canale e Gittes cerca di andare a fondo, indagando e tentando di trovare risposte in un’intricata storia di politica cittadina. Chinatown estrapola dal noir una società violenta in cui l’imbroglio e i profitti dominano su tutto e tutti.

Per quanto il film di Polanski giochi sulla profondità di campo, sul fallimento di Gittes, sul finale tragicamente insoluto, bisogna tener presente che la città non rispecchia il convenzionale aspetto oscuro della metropoli dei lungometraggi anni Quaranta. Caratterizzata dal colore e da un’illuminazione più piena, Chinatown mostra una Los Angeles in crescita che subisce per mano di potenti sfruttatori come il personaggio di Cross, interpretato da John Huston.

Il film è una citazione del passato e questa volta ci sono poche ombre e colori scuri, neanche bianco e nero, ma ciò che è persistente è un fitto intreccio narrativo fatto da differenti personaggi funzionali alla storia. Chinatown appartiene al neo noir e focalizza tutto sul drammatico epilogo, oltre che sul protagonista detective destinato a perdere e a ritirarsi; Polanski adoperando un’estetica più moderna, percorre comunque le misteriose strade del noir.

Un tentativo riuscito di adoperare il noir e di restare impresso nella storia appartiene a Curtis Hanson con il suo postmoderno L.A. Confidential. Proprio questo film assorbe i caratteri del noir associandoli ad una storia che si compone di un variegato cast corale.

Nel 1997 esce L.A. Confidential diretto da Curtis Hanson che decide non molto tempo prima di scrivere una sceneggiatura basata sull’omonimo romanzo di James Ellroy.
Il film è un noir moderno, nel senso che mantiene una regia che ibrida gli aspetti del sottogenere, ma al tempo stesso è molto più dinamica, sottolineando la violenza sia di malviventi che della polizia.

Anche in L.A. Confidential c’è un’indagine, ma c’è anche la corruzione che dilaga all’interno della stessa polizia e che il giovane Exley (Guy Pearce) non riesce a fermare. Hanson mostra una Los Angeles anni Quaranta inizialmente descrita come un paradiso in terra dalla voce fuori campo di Sid Hudgeons (Danny DeVito) che in breve tempo tratteggia il perfetto contesto in cui dare inizio alla intricata storia. Quest’ultima è essenzialmente molto articolata, come i protagonisti che gli girano attorno, anche se perfettamente godibile.

In L.A. Confidential Los Angeles è una città in cui serpeggiano corruzione, violenza e malavita, ma a cercare di ripristinare giustizia e ordine ci sono il sergente dell’antidroga Jack Vincennes (Kevin Spacey) che preferisce fare il consulente per le produzioni hollywodiane invece che fare il suo lavoro, Bud White (Russell Crowe) che non sopporta chi maltratta le donne, infine Ed Exley che deve convivere con il suo forte senso di giustizia e la degenerazione di chi gli sta intorno. A completare il quadro il reporter Sid Hudgeons che riempie pagine di cronaca cittadina del suo giornale “zitti zitti” e contribuisce ad arricchire la narrazione del film e la bellissima prostituta Lynn Bracken (Kim Basinger) che somiglia all’attrice di noir Veronica Lake.

I tre poliziotti dovranno darsi da fare per risolvere il caso del Nite Owl e unire le forze per combattere una cospirazione politica, mentre White inizierà una relazione con Lynn che rappresenta solo a metà femme fatale. Il suo personaggio, infatti, sfrutta più le doti di fascino e seduzione rispetto alla perfidia.

L.A. Confidential i distingue per la sua fotografia molto luminosa, rispetto ad un noir più convenzionale, che si alterna ai momenti notturni in cui si possono notare più facilmente i giochi d’ombra sui volti. Hanson predilige i primi piani, i piani americani e inquadrature simili per accentuare l’attenzione sui protagonisti, sulla loro espressività e le loro azioni. Il punto di forza di L.A. Confidential sta nel fatto di essere un noir che integra parti di action con una certa armonia (come la sparatoria a cui prendono parte Exley e Bud), senza mai tralasciare delle velate citazioni al cinema classico tanto caro a Hollywood.